Dicembre 02 2020 0Comment

Intervista al prof. Mario Molteni, tra i vincitori dell’EUconsult Italia Award 2020

Silvia Superbi intervista il prof. Mario Molteni, tra i vincitori della prima edizione dell’EUconsult Italia Award.

 

Mario Molteni, professore Ordinario di Corporate Strategy e di Economia Aziendale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.  Ha fondato ALTIS, Alta Scuola di Impresa e Società della Cattolica, inoltre, ha sviluppato il CSR Manager Network. Dal 2015 è A.D. di E4Impact Foundation, spin-off dell’Università Cattolica che realizza programmi per lo sviluppo di nuovi imprenditori ad impatto sociale in Africa.

 

 

Prof. Molteni, innanzi tutto complimenti per il Premio ricevuto come “miglior mentore di risorse umane” da parte di Euconsult Italia, associazione dei consulenti del Terzo Settore attenta a sviluppare iniziative ispirate a valori di responsabilità e di sostenibilità. Vista la sua prestigiosa esperienza in questo campo, la prima domanda riguarda il futuro delle giovani leve: quali sono le strade che indicherebbe oggi ad un giovane che vuole impegnarsi nel Terzo Settore? Quali gli ambiti innovativi che possono portare un contributo positivo alla società in cambiamento?

Certamente presterei attenzione ai fenomeni in forte sviluppo quali la digitalizzazione, l’intelligenza artificiale, il trattamento dei big data. Ma, insieme, è una priorità assoluta dedicarsi ai temi della sostenibilità e tutto ciò che, più profondamente, ha a che fare con le condizioni per lo sviluppo di una economia e una società più eque e solidali.

 

Lei Professore si è sempre occupato di CSR: quale è la relazione tra Profit e Non Profit oggi? Vede opportunità di sviluppo ulteriore o difficoltà a causa della crisi?

Il fatto che ritengo più importante è l’interazione tra i due mondi. Nel mondo del profit diventa sempre più chiaro che si tratta di adottare una concezione di impresa e un modello di sviluppo in cui il bene del singolo e della società vengano presi in considerazione nel momento in cui si prendono le fondamentali decisioni, e non a valle di esse per correggere le conseguenze peggiori.

Per quanto riguarda il mondo del non profit, è fondamentale il superamento della logica assistenziale e sarà fondamentale che buon management, produttività, rigore, debbano essere caratteristiche con cui gestire anche un ente Non Profit non solo un’impresa.

 

I nuovi imprenditori oggi: quali sono gli obiettivi e le motivazioni verso le attività ad impatto sociale? Come descriverebbe la relazione con il Terzo Settore o con la comunità in cui si trovano ad operare?

Gli ingredienti di fondo sono sempre gli stessi: l’attenzione ai bisogni delle persone, una forte carica ideale nei soggetti che promuovono l’iniziativa, la ricerca delle soluzioni umane, tecnologiche e organizzative più idonee per rispondere a quei bisogni. In sintesi: innovazione tanto sociale quanto aziendale. Se ci sono questi ingredienti, l’armonia con la comunità è assicurata.

 

Fondazione E4impact opera in tante nazioni africane promuovendo presso le Università locali il percorso di Executive MBA in Impact Entrepreneurship, un programma rivolto alle imprese africane di impatto sociale e ambientale. Da dove nasce l’idea, quali sono gli obiettivi e perché Altis ha avviato questo tipo di formazione?

Come per le cose più belle della vita, l’idea nasce non da un piano ma da un incontro. Ci è stato chiesto di offrire un programma per studenti africani in Italia. Facendolo abbiamo capito che quello non era il modo più adatto per rispondere alle esigenze originarie: costi troppo alti, sradicamento degli studenti dal loro contesto e , per giunta, alla fine i migliori anziché tornare a dare il loro contributo nel paese d’origine facevano di tutto per stare in Italia. Di qui il ribaltamento: andiamo noi in Africa, non certo lavorando da soli, ma collaborando con Università locali, per creare insieme con loro un programma di alto profilo ma accessibile a tanti e inserito nel contesto locale. Proprio lavorando con una università del Kenya è nata l’idea di un Master, non come spesso diciamo, per “jobs seekers”, cioè per chi cerca lavoro, ma per “job creators”, cioè per giovani imprenditori, che contribuiscano a creare ricchezza per il contesto nel quale sono nati e continuano a vivere.

 

Davvero un progetto interessante, innovativo e sfidante. “Train a new generation of entrepreneurs capable of combining economic success with social and environmental impact”, potremo dire che l’impegno in questo ambito, è la nuova cooperazione allo sviluppo?

Direi proprio di sì perché mette in moto le energie locali, crea qualcosa di stabile i cui protagonisti sono i giovani locali, spesso donne. Si tratta di iniziative destinate a durare nel tempo, a crescere non solo a livello locale, ma anche nazionale e internazionale. Lo sviluppo imprenditoriale auto-diretto è il nuovo nome della cooperazione! Questo dovrebbe essere riconosciuto anche dai policy maker a livello europeo e a livello nazionale e potrebbe essere riconosciuta come una delle fondamentali vie per contenere il fenomeno migratorio.

 

Si tratta di un percorso innovativo molto, molto interessante, che avrà bisogno di tempo per maturare: state già lavorando a livello di advocacy con le istituzioni nazionali? E se si quale percorso ritenete utile sviluppare?

Il nostro lavoro con le istituzioni è su vari fronti. Innanzitutto partecipiamo ormai stabilmente a molte cordate per progetti di sviluppo di aree svantaggiate. Sempre il nostro contributo è peculiare, e complementare a quello delle tradizionali ONG: fedeli alla mission della Fondazione, la nostra parte è quella di sviluppare imprenditori locali a forte impatto sociale o di dar vita a ambiti locali (incubatori, acceleratori, entrepreneurship center) che stabilmente perseguano questo obiettivo nel lungo periodo. Quanto all’attività di advocacy in senso stretto, devo dire che – non senza fatica – ma cresce finalmente la comprensione presso le nostre istituzioni del fatto che, per dirla con una immagine ormai nota, bisogna insegnare a pescare e non fare arrivare un tir di pesce surgelato. Eppure è difficile, perché anche presso il pubblico dare soldi per fare i muri di una scuola sembra più concreto; formare persone che, adeguatamente sostenute (anche economicamente sia ben inteso!), diano vita a una e poi a due e poi a tre scuole, sembra più astratto. Ma scommettere sulle persone e non sui mattoni è assai più ragionevole.

 

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