Ottobre 27 2021 0Comment

Report della sesta edizione dell’European Third Sector Forum

A cura di Silvia Superbi, coordinatore del Comitato Organizzatore del Forum.

 

La VI edizione dello European Third Sector Forum, dal titolo Lezioni dalla pandemia: ripariamo il presente, rivalutiamo il passato e disegniamo il futuro, si è svolta il 21 ottobre a Roma ed è stata ricca di contenuti interessanti e di spunti di lavoro per la costruzione del futuro che ci attende. I temi più ricorrenti negli interventi hanno toccato l’impegno per la realizzazione di cambiamenti sistemici, la necessità di rete tra Profit, Non profit e PA, la professionalizzazione del nostro settore, il ruolo del board e la necessità di fare rete: “cambiare facendo sistema”.

L’evento si è aperto con i saluti del Presidente Raffaele Picilli, che ha sottolineato quanto sia importante fare rete ancor di più in questo momento storico. Al Terzo Settore, alle Imprese, alla PA, a tutti è richiesto un mutamento di prospettiva culturale nella direzione di un approccio sistemico in cui la strada del partenariato sia una scelta da percorrere in modo convinto e consapevole dai diversi attori del Paese che si riscoprono comunità e vogliono lavorare insieme.

È seguita la lettura di alcuni passi di Dante Alighieri, proposti come ispirazione della giornata e letti dall’attrice Marta Bulgherini (in foto) che ha emozionato la platea.

Si è poi entrati nel vivo con l’intervento in collegamento da Vienna di Carola Carazzone, Segretario Generale di Assifero e Presidente di Dafne – Donors and Foundations Network in Europe.  In momenti di rottura, come questo, il cambiamento è possibile, anzi momenti come questi possono essere occasioni per accelerare e scalare, uscire dalla zona di confort, aumentare il dialogo tra esperienze e settori diversi. La Dr.ssa Carazzone si è concentrata sul ruolo di vari attori, ma in particolare su quello delle fondazioni filantropiche che possono imprimere un cambiamento a partire dalle finalità dei finanziamenti concessi agli enti del TS. Mai come in questo momento si è visto che sono riusciti ad andare avanti e crescere coloro che hanno utilizzato l’immaginazione sociale per affrontare e risolvere i bisogni dei beneficiari.  Soluzioni creative e immaginazione sociale, elementi spesso carenti nella società, molto presenti nel Terzo Settore soprattutto italiano, ma spesso carenti di mezzi. Così, per ricevere finanziamenti, il TS spesso si trova nel ruolo di esecutore o fornitore di servizi all’interno di un meccanismo di “progettificio” che tende a realizzare i progetti richiesti dal donatore per rientrare nei bandi, cercando di tenere i costi di struttura più bassi possibili.  Una narrazione che va stravolta, secondo la dr.ssa Carazzone. Questo concetto è alla base della mancanza di investimento nella leadership, nella digitalizzazione, nella crescita delle persone. Progetti centripeti chiusi in sé stessi, magari bellissimi, ma a breve termine perché legati al finanziamento ricevuto, che mancano di intersezionalità e multidisciplinarietà, non creano valore per il sistema. Problemi come la democrazia, il cambiamento climatico non si affrontano senza fare rete e trovare soluzioni comuni.  Il Terzo Settore tratta problemi complessi e incancreniti, che richiedono tempo e non si possono risolvere con l’approccio caritatevole ed emergenziale, ma hanno bisogno di un cambiamento sistemico.

Di cambiamento necessario hanno discusso anche i relatori della seconda sessione, moderati da Daniele Biella, giornalista del periodico Vita: ci si è interrogati sul ruolo del board  e sull’importanza delle soft skills. Su come attuare la vera sfida del momento ovvero quella di “rendere finalmente strategico il Terzo Settore”. Daniele Biella ha portato i saluti della redazione di Vita ricordando i numeri del Terzo Settore: produciamo più del 5% del PIL con 70 miliardi di euro di entrate, 1milione e 140.ooo i lavoratori retribuiti; 5 milioni di volontari, 26milioni i beneficiari (un terzo della popolazione). Tutto questo grazie all’azione di circa 360mila Enti del Terzo Settore. Disegnare il futuro è la sfida che ci attende, forti di quella comprensione delle necessità e di quella immaginazione sociale che ci appartiene.

La sessione si è aperta con l’intervento di Beatrice Lentati, fundraiser che ha formato moltissimi colleghi, tra i fondatori di Airc nel 1975 e attualmente coordinatrice del Comitato Scientifico di EUconsult Italia. Ha esordito dicendo che un Consiglio Direttivo può essere la vita o la morte dell’organizzazione non profit. Senza remore ha affermato quello che molti di noi già sanno: il board spesso non è preparato professionalmente e con le giuste competenze. Quindi il cambiamento del Terzo Settore è reso  più difficile da scelte che non vengono prese, da crescite che non vengono sostenute, da assenza di visione lucida sul percorso da portare avanti, da incapacità di fare rete.

Eppure il Board non deve essere inteso come una posizione, ma come il primo strumento per il cambiamento. Chi siede nel Board, deve essere capace di prendere le decisioni e promuovere il cambiamento. Osare e poi verificare con attenzione quello che si sta cambiando e trovare nuove modalità di azione.  C’è da dire però che nessuno insegna ai membri del Board come devono operare. Gli eletti fanno quello che sanno fare, da qui la necessità di una formazione per imparare la leadership e le soft skills, la cura e la relazione con gli stakeholders, per conoscere tutte le attività dell’organizzazione, far crescere chi ha le competenze, con particolare apertura a manager, tecnici e giovani e per dare spazio alle donne.

Il Prof. Fabrizio Dafano, docente di organizzazione aziendale della Facoltà di Roma Tre citando Aristotele e la virtù – come capacità umana che tende verso il giusto mezzo – ha introdotto le competenze trasversali, quelle qualità dell’individuo che gli permettono di intervenire dove non c’è omogeneità. La capacità di scegliere il giusto mezzo richiede lavoro, esperienza, consapevolezza, addestramento. La formazione è, secondo il prof. Dafano, la possibilità di mettere insieme la complessità e gli strumenti per capire e uscire dagli schemi. Tendenze come tecnicismi, ansia dell’operatività e standardizzazione dei processi aiutano il raggiungimento degli obiettivi ma bisogna stare attenti a non allontanarsi da quella “lumiere naturelle”, presente in ciascuno di noi, che va favorita per trovare soluzioni e realizzare grandi sogni.

Cristina de Luca, vicepresidente di Fondazione Italia Sociale, ha aperto l’intervento con la sfida che oggi viene chiesta al Terzo Settore: rendere strategico il ruolo del terzo settore nel nostro paese.

Il suo intervento si basa su due concetti chiave: Fare cultura e fare sistema. Fare cultura: riformulare il ruolo del Terzo Settore nella società, smettere di pensare di essere la stampella del Welfare, superare il fatto di essere fornitore di servizi a basso costo, recuperare la possibilità di essere attori di cambiamento!  Dare senso e saperlo raccontare, poiché spesso il gap che esiste tra le soluzioni a tematiche complesse che il Terzo Settore sa fornire e la capacità di raccontarlo, di fare cultura su questi temi è enorme. E questo non permette di sviluppare quel ruolo anche di advocacy sulle tematiche che si trova a dipanare. Fare sistema: troppi enti, troppe poltrone. Bisogna imparare davvero a fare sistema anche tra pubblico e privato, contaminarsi l’uno con l’altro prendendo caratteristiche positive e innovative di entrambi i settori. Si devono superare gli steccati ideologici, lasciare spazio alle innovazioni, ai giovani e alla relazione centrale e locale. Recuperare la capacità di guardare oltre, di sapere raccontare i temi, di essere cerniera tra i mondi: fare advocacy per trasformare la cultura e per dare visibilità al Terzo Settore e al ruolo di change maker che merita.

La sfida per il Terzo Settore può essere dunque raggiunta solo attraverso un vero coinvolgimento di tutti gli stakeholder, cui è stata dedicata la terza sessione del Forum, coordinata da un’altra giornalista da sempre attenta ai temi del sociale, Giulia Pigliucci.   Si è parlato di comportamento dei donatori con l’intervento del Prof. Paolo Anselmi, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che ha condiviso i risultati di una sua recente ricerca sulle aspettative del donatore nei confronti delle organizzazioni non profit. I cambiamenti registrati negli ultimi anni e quelli durante la crisi hanno influenzato molto il senso di ciò che siamo e ciò che facciamo. Gli intervistati hanno dichiarato di sentirsi più sensibili alle sofferenze degli altri ma anche preoccupati, molti dichiarano di sentirsi più disponibili a fare qualcosa, ma poco inclini a donare di più. Il dato più eclatante è che i due terzi degli intervistati riconoscono al Terzo Settore un ruolo di sostegno ai bisogni della popolazione. Senza dubbio i dati dimostrano che ciò che ancora frena la donazione è l’affidabilità delle organizzazioni e il prof Anselmi si riferisce non solo alla capacità di comunicare credibilità e rendicontare finanziariamente, ma soprattutto al saper rendicontare ciò che è stato fatto e i risultati raggiunti: l’impatto sociale degli interventi sulla vita dei beneficiari.

A seguire quindi l’intervento del Dr. Marco Maffei, socio della società di consulenza KPMG che, oltre al supporto per la realizzazione dell’evento, ha portato l’attenzione sulla rendicontazione sociale resa ormai obbligatoria dalla Riforma.

Ad arricchire la sessione anche un altro nome storico del Terzo Settore italiano, quello di Rossano Bartoli, Presidente della Fondazione Lega del Filo D’Oro, che ha raccontato l’esperienza della sua organizzazione nel corso della pandemia e le scelte adottate per rimanere in contatto con donatori e beneficiari soprattutto nei momenti più drammatici del primo lockdown. Reagire con attenzione e sinergia con altre organizzazioni, e soprattutto presenza di team strutturati e di board preparati, fanno la differenza, a maggior ragione in momenti come quelli appena vissuti. Ad una specifica domanda su come dovrebbe essere composto un board efficace, Bartoli non ha esitato a riassumere come la Lega del Filo d’Oro si prefigge di sceglierne i membri: persone disinteressate, che non abbiano timore di prendere decisioni, che si facciano promotori di un coinvolgimento e aggiornamento costante, con capacità personali e professionali di alto livello.

Molto interessante in tema di coinvolgimento anche il punto di vista del Dr Angelo Tanese, Direttore Generale dell’ASL Roma 1, che è tornato sulla questione di come, anche per la PA, la pandemia sia stata l’occasione per dare vita a cambiamenti di sistema e di comunità, scegliendo il partenariato e cogliendo le opportunità offerte anche dall’innovazione tecnologica, per intercettare i bisogni dei cittadini, andar loro incontro e farsi prossimi. Quelli che erano obiettivi di prospettiva sono diventati obiettivi di urgenza, di priorità, di fattibilità. L’emergenza ha dimostrato che le cose si possono realizzare, anche velocemente e con una maggiore consapevolezza della propria forza. Una responsabilità che ci porta a guardare cosa sappiamo fare e cosa dobbiamo migliorare. Il termine comunità si è sentito spesso: le conflittualità, gli interessi e i limiti sono messi da parte dalla realtà della pandemia superando gli annosi deficit di integrazione, di rete, di responsabilità chiare.

Alessandro Valera, fondatore di Ashoka Italia, si è soffermato sulla necessità di saper accogliere la complessità e creare un mondo dove tutti possano dare un contributo positivo. Soluzioni di rete per risolvere problemi a livello sistemico: capire le cause e non solo curare i sintomi. Accogliere la complessità significa, secondo Valera, lavorare per ottenere un cambiamento sistemico. Non s’intende passare da “progettini” a “progettoni”, ma prendere a modello le organizzazioni che hanno un programma che funziona, fare rete e puntare al cambiamento. Come Carola Carazzone in apertura, anche Alessandro Valera sottolinea che il progresso è rallentato anche da un sistema erogativo non al passo con le sfide del tempo. Una ricerca realizzata da Ashoka mostra che il 72% dei fondi sono vincolati e che solo il 13% dichiara di non aver cambiato il progetto per andare incontro alle richieste dei donatori seguendo la propria mission e il proprio progetto. Questo implica perdita di focus e di efficacia sui sistemi che si vogliono cambiare. Chiude con alcuni punti chiave per risolvere la complessità: più ottimismo, più organizzazione e professionalità, più comunità, più progettazione in partenariato e a lungo termine, più trasparenza e rendicontazione.

 

La giornata si è conclusa con la consegna dei due premi ex equo alla carriera conferiti dalla giuria dell’EUconsult Italia Award: premiati Rossano Bartoli, Presidente della Fondazione Lega del Filo D’Oro, e Giangi Milesi, Presidente di Parkinson Italia.

 

L’evento è stato possibile anche grazie ad aziende, agenzie e scuole di formazione che hanno deciso di sostenerlo: KMPG, 3d0 Digital Agency, Assofacile, Common Grounds, Elena Zanella Fundraising Academy, IFC Italy International Fundraising Consultancy, Nextbit, Raise the Wind, The Good Skill.

 

A breve sarà possibile seguire l’evento online  sui canali social dell’associazione EUconsult Italia e sui siti www.etsforum.it e www.euconsultitalia.org

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