Aprile 11 2022 0Comment

Le Fondazioni motori propulsori di cambiamento nel Terzo Settore: Silvia Superbi intervista Carola Carazzone

 

Carola Carazzone, è la prima donna italiana nominata al vertice di DAFNE (Donors and Foundations Networks in Europe), organizzazione, con sede a Bruxelles, che riunisce 30 associazioni di supporto alla filantropia in 28 Paesi europei. È Segretario Generale di Assifero, punto di riferimento della filantropia istituzionale in Italia associando oggi le principali Fondazioni private (di famiglia, d’impresa e di comunità) espressione di una volontà comune italiana ove saperi, tradizioni, competenze e risorse finanziarie vengono messi a frutto per lo sviluppo umano e sostenibile del nostro paese e di contesti internazionali. Assifero negli ultimi anni ha fatto un lavoro inedito e senza precedenti di intessitura per la costruzione di un sistema filantropico italiano più informato, connesso ed efficace.

 

 

Come prima domanda, un veloce approfondimento su Assifero e su cosa è impegnata come rete di Fondazioni

Assifero è l’Associazione italiana delle Fondazioni filantropiche, di famiglia di impresa di comunità, cioè tutte quelle che non afferiscono ad Acri (che invece raccoglie tutte le fondazioni di origine bancaria, che sono 86 stabilite dalla legge del 1999). Ha come missione quella di contribuire a creare un sistema filantropico informato, connesso ed efficace. Le fondazioni sono ancora molto spesso isolate, perché non hanno “bisogno”di collaborare con altri enti, possono sopravvivere da sole. Quando però c’è il salto di prospettiva, di pensarsi non solo come enti erogatori, ma come enti filantropici strategici e orientati alla co-creazione di un impatto collettivo, impegnati per una causa o per risolvere una problematica, allora certamente si necessitano approcci, non solipsistici, ma più collaborativi e impattanti.

 

E invece Dafne? Quale mission e quale ruolo verso il Terzo Settore?

Obiettivo di Dafne è quello di lavorare per sbloccare l’enorme potenziale collettivo delle fondazioni ed enti filantropici a livello europeo. Non solo il capitale finanziario ma il cosiddetto continuum of capital, che risiede nelle risorse private finanziare, relazionali, sociali, intellettuali che le fondazioni ed enti filantropici possono mettere a disposizione del bene comune. Dafne è impegnata per costruire ampie e inclusive partnership strategiche capaci di unire il continente europeo per il bene comune.

 

Dunque le Fondazioni si parlano tra loro? Lavorano insieme? Realizzano progetti comuni?

Assifero lavora a matrice su percorsi di rafforzamento delle conoscenze su tematiche specifiche e su percorsi di rafforzamento delle competenze afferenti ai processi, alle modalità di finanziamento e supporto, favorendo la costruzione di un sistema filantropico a livello Paese e una comunità di pratica tra Fondazioni. Le fondazioni lavorano molto su progetti specifici. Come Assifero siamo impegnati a stimolare le Fondazioni affinché sviluppino collaborazioni non solo progettuali ma sempre più approcci comuni che facciano fare un salto a livello strategico, per poter impattare sulle problematiche collettivamente.

 

Possiamo dire che il vero potenziale delle Fondazioni, se si esce dalla zona di confort, dal “progettificio” e dal singolo intervento, possa essere il contributo di sviluppo per gli ETS, il capacity building, la condivisione di conoscenze, metodi e crescita? Spesso mi trovo a pensare che se il Terzo Settore prima di cambiare il mondo deve assolutamente imparare a cambiare se stesso e uscire dal cliché della buona causa: costruire processi organizzati, sviluppare attività a lungo termine, migliorare immagine e comunicazione, formare i propri dipendenti in senso manageriale. Ancora c’è molto da fare. Quanto le Fondazioni possono supportare questa crescita degli ETS?

Nel 2018 abbiamo lanciato una call to action “due miti da sfatare per evitare l’agonia del terzo settore”.

Uno dei miti, un criterio deleterio, quello della percentuale dei costi di struttura come unico criterio di valutazione dell’efficienza degli ETS che li obbliga a vivere in un perenne ciclo della fame, nascondendo la necessità di investire nel personale e nella organizzazione interna. Le ONG, in cui io sono nata e mi sono formata, hanno una grande responsabilità su questo a partire dagli anni 80, quando hanno raccontato per decenni che tutte o quasi tutte le risorse raccolte vanno destinate ai progetti e ai beneficiari, senza rendersi conto di quanto questa affermazione abbia creato un effetto perverso. La organizzazione, è parte integrante del raggiungimento della causa: non è un nemico della causa. Le organizzazioni devono avere un’anima con tutti coinvolti, dai dipendenti ai donatori, tutti impegnati per il raggiungimento della causa. Il passaggio culturale è fondamentale, ma gli ETS ancora non ne hanno la forza perché sono troppo dipendenti dai finanziamenti sui progetti e si devono arrabattare a dimostrare che mantengono i costi di struttura all’osso e senza potersi permettere di dire come stanno le cose, i costi reali e necessari della cosiddetta struttura o costi generali.

Anche i consulenti del Terzo Settore, che EUconsult Italia rappresenta, potrebbero essere degli alleati per il capacity building di cui stiamo parlando, insieme alle fondazioni, per sviluppare questo cambio di paradigma prioritario.

Noi con Dafne, sotto pandemia abbiamo lanciato la call “together we stand”, campagna sottoscritta da 186 fondazioni europee che hanno firmato l’importanza di approcci più abilitanti e meno pianificanti, di investire di più sulle organizzazioni con un supporto orientato al raggiungimento della missione e non a liste di attività e micro output.

 

Mi metto dalla parte degli ETS, pensiamo ad una realtà piccola, magari con un Presidente, un Comitato Direttivo poco attivo, una segretaria e pochi volontari. Quanti bandi che mettono il capacity building davanti al progetto esistono? Quante organizzazioni avrebbero bisogno di supporto alla struttura ma non trovano chi li possa sostenere nella mission…

 Si in effetti in Italia i finanziamenti pubblici sono tutti tramite bando e ancora pochissimi tramite accreditamento e co-programmazione e anche le fondazioni filantropiche che investono sul capacity building e sulle organizzazioni sono ancora poche. Si tratta di early adopters, ma sono sempre di più anche tra le fondazioni di origine bancaria (penso a Compagnia di San Paolo e Cariplo, ma anche alla Fondazione di Ascoli Piceno). Le reti nazionali ed europee come Assifero e Dafne sono impegnate per accelerare i processi di apprendimento collettivo e sviluppare il supporto alle organizzazioni per dare respiro al terzo settore e dare la possibilità a tante organizzazioni davvero di incidere in un cambiamento a lungo termine che possa rimuovere le cause della povertà, delle discriminazioni, dei cambiamenti climatici, delle violazioni dei diritti, insomma di tutte le grandi cause che ci stanno a cuore

 

Una ultima domanda invece per le Fondazioni che stanno nascendo o per quelle che vogliono reimpostare la propria strategia: cosa consiglieresti come primi importanti passi? Quali le scelte strategiche? Quali obiettivi si devono dare per impattare fortemente sul difficile scenario che ci attende?

Intanto il primo suggerimento sarebbe di valutare bene se non ci siano fondazioni già impegnate per la causa scelta cui unirsi. Il nostro paese potrà sviluppare tutto il proprio potenziale solo superando gli individualismi. Vedo una tendenza alla proliferazione di tante, tantissime piccole fondazioni che potrebbero invece scegliere di costituirsi in un fondo patrimoniale con diritto di indirizzo presso un’altra fondazione di famiglia o di impresa o di comunità e beneficiare di expertise e personale comune. Inoltre suggerirei di lavorare molto sulla propria teoria del cambiamento e sull’orizzonte di impatto che vuole contribuire a raggiungere a 20 o 30 anni.

Quando si costituisce una fondazione filantropica bisogna avere un orizzonte di impatto di lungo periodo e avere molto chiara la differenza che si vuole fare, con chi e come. Il valore degli enti filantropici risiede nella qualità delle loro risorse, non nella loro quantità. In un contesto politico, economico e sociale, caratterizzato dalla contingenza e dall’inseguimento delle emergenze, il valore degli enti filantropici risiede nella loro autonomia, agilità, capacità di rischiare e di investimento di lungo periodo.

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