Maggio 28 2018 0Comment

Fundraising e cultura: necessario uno sguardo oltre l’ombelico

Un nuovo interessante articolo della socia Antonella Giacobbe.

La raccolta fondi è troppo importante per avere un ruolo marginale, quando non del tutto assente, in un’organizzazione culturale che necessariamente deve sviluppare un percorso di sostenibilità e di imprenditorialità se vuole capire e guidare il cambiamento e, quindi, sopravvivere. La complessità – ma anche la bellezza – della raccolta fondi è nella sua vocazione olistica e tutti dovrebbero avere un ruolo attivo (anche se di supporto).

Un’organizzazione culturale oggi si deve misurare su tre aspetti importanti: l’aspetto economico, con l’esigenza di trovare soluzioni durature per la propria sopravvivenza e sostenibilità; l’aspetto sociale, rendendosi protagonista dell’impatto socio-economico di una comunità, il suo riconoscersi in un insieme di valori; l’aspetto simbolico, il valore intrinseco e identitario dell’arte e della cultura in una realtà in trasformazione.
Oggi, per un’organizzazione culturale, è sempre più sfidante riuscire a trovare un punto di equilibrio fra questi tre aspetti, privilegiando e valorizzando i valori e la mission propri dell’organizzazione culturale stessa.
Ma come trovare un punto di equilibrio? Non è facile.
Non si può essere del tutto idealistici e pretendere che l’aspetto economico non esista, così come non si può distorcere la cultura e l’arte verso modelli esclusivamente orientati al “business”. Anche l’impegno sociale in fondo è solo un modo per sostenere la propria mission culturale.
Oggi, in Italia, vediamo che alcune organizzazioni hanno intrapreso un percorso di flessibilità e diversificazione delle proprie risorse e innovato le strategie di management; molte altre semplicemente fanno finta di non vedere i rapidi cambiamenti economici e socio-culturali in atto. Spesso vanno alla cieca, sperando di andare avanti per inerzia, mentre è ormai evidente che solo le organizzazioni più adattabili e resilienti potranno sopravvivere. Il fundraising culturale, oggi in continuo cambiamento, a mio avviso, è una risorsa importante ma deve sapersi proporre come interprete del cambiamento e tenere conto di tutti e tre questi aspetti, saperli valorizzare nelle relazioni e nelle partnership, sia con gli individui che con le imprese, avere maggiore consapevolezza delle opportunità, dei valori e del contesto socio-economico e culturale in cui l’organizzazione opera, e non concentrarsi unicamente sulle competenze tecniche.
Insomma, il fundraiser oggi deve avere sia competenze tecniche che “trasversali”. Avere un ruolo strategico nell’organizzazione ed essere in grado di avere una visione d’insieme che gli permetta di “connettere” il patrimonio culturale e la mission con la comunità di riferimento.  Capire la “narrazione” e l’unicità dell’organizzazione e saperla comunicare e ridefinire in base ai diversi pubblici. Fondamentale quindi saper riconoscere il proprio ecosistema, individuare le opportunità e i rischi, saper costruire network e relazioni.  Avere un approccio davvero strategico.
Saper comunicare la cultura non è scontato.

C’è una forte esigenza di trasparenza, di comunicazione dell’impatto, di nuove tecnologie e saper costruire ponti per superare una certa autoreferenzialità.
L’impegno di tutti è fondamentale, in primo luogo, dei policy-maker e delle organizzazioni, per rimettere il cittadino in confidenza con il patrimonio culturale, ricostruire l’orgoglio e il senso di appartenenza e sviluppare la cultura del fundraising.
Ci sarà bisogno davvero di tanta energia, di tanta formazione e competenza e… di tempo.

 

admin

admin