Ottobre 15 2020 0Comment

European Third Sector Forum: la parola a Gabriele Sepio

Tutto pronto per il Forum sul Terzo Settore: la nostra intervista ad uno dei relatori Gabriele Sepio

di Vincenzo Tafuri

 

12 Novembre 2020. L’appuntamento è con l’European Third Sector Forum di EUconsult Italia, l’associazione che riunisce i professionisti del mondo non profit italiano. Presieduto dal fundraiser Raffaele Picilli, il sodalizio professionale nasce per raggruppare e far interagire i consulenti specializzati nell’ambito della solidarietà e dell’innovazione sociale, «incoraggiandone e stimolandone il comportamento etico e professionale, la collaborazione e lo sviluppo delle competenze tecniche».

L’European Third Sector Forum, giunto alla seconda edizione, quest’anno, non solo è in formato digitale e gratuito, ma ha anche un tema che richiama l’epoca storica e il contesto socio-sanitario che stiamo vivendo: 2020: Anno del cambiamento – Governance, comunicazione e benessere organizzativo nel Terzo Settore.

Il non profit, difatti, nel corso di questi ultimi mesi, soprattutto nel lockdown, è stato sottoposto a veri e propri stress test, per testare la solidità e l’efficacia della sua esperienza. Le organizzazioni sociali hanno dato prova di essere sul pezzo e in grado di gestire con incisività e proattività le fragilità che sono emerse ancora più forti e prepotenti.

Chi davanti al computer, per organizzare turni o sollecitare donazioni, chi direttamente sul campo, per sostenere concretamente i più bisognosi, il Terzo Settore ha dimostrato di essere un caposaldo imprescindibile del welfare e della ricerca. Una presenza sul territorio favorita dal contagio emotivo suscitato dalla pandemia, accelerata dai buoni consigli di quei tanti professionisti ed esperti che accompagnano le realtà senza scopo di lucro.

Proprio ai consulenti e alle società specializzate nel supporto alle non profit è dedicato lo EUconsult Italia Award, il premio Eccellenza al servizio del Terzo Settore, suddiviso in più sezioni, assegnato al termine dell’evento di metà novembre.

 L’European Third Sector Forum è uno spazio aperto di incontro e di confronto «per favorire il dibattito sulle buone prassi di collaborazione tra le varie componenti del non profit italiano nel contesto europeo, creando un positivo contagio tra le competenze manageriali e di leadership». L’incontro è fatto di tre panel, uno di questi, che prevede una tavola rotonda sulla Riforma del Terzo Settore, vede fra gli ospiti anche l’Avv. Gabriele Sepio, tributarista e firma del quotidiano Il Sole 24 ore.

Lo abbiamo intervistato per dare un’anticipazione di ciò che lui e gli altri relatori discutono nella sessione, che inizia alle 17.30, sempre in diretta e previa registrazione sulla pagina Facebook o YouTube di EUconsult Italia.

 

Partiamo dal campo semantico che inquadra il Terzo Settore: si dice non profit o no profit?

«È più corretto utilizzare l’espressione non profit, che richiama il concetto di assenza di scopo di lucro, tipico degli enti del Terzo Settore. L’espressione no-profit, invece, significa letteralmente senza profitto ed evoca quindi una gestione tendenzialmente in perdita. È una distinzione in apparenza irrilevante, ma che assume un valore fondamentale sotto un profilo culturale.  Nella logica del Terzo Settore, infatti, la realizzazione di un profitto non solo non va combattuta, ma va valorizzata come indice di una gestione sana dell’ente. L’assenza di scopo di lucro, infatti, non sta nel rifiutare di conseguire un utile, ma nello scegliere di reinvestire questo utile per finalità di interesse generale, anziché distribuirlo tra i soci o i fondatori. Quella degli enti del Terzo settore, quindi, è un’assenza di scopo di lucro in senso soggettivo».

 

L’ISTAT ha appena pubblicato un censimento, aggiornato al 2018, del mondo non profit: aumentano le organizzazioni ed i dipendenti impegnati in esse. Tuttavia, nell’indagine, emerge che l’85% delle realtà senza scopo di lucro non ha alcun dipendente. È il segno della mentalità diffusa che le attività sociali devono essere volontaristiche e non professionistiche?

«Il volontariato rappresenta, da sempre, una risorsa fondamentale per le organizzazioni che operano con finalità di interesse generale. Non bisogna però confondere il valore del volontariato, dello spendere il proprio tempo per gli altri, con la mancanza di professionalità. Questo è, in effetti, uno dei principali pregiudizi che hanno da sempre caratterizzato il mondo del non profit, e che la riforma si è proposta di superare. Il Terzo settore ha infatti bisogno sia di figure professionali specifiche, sia di un approccio professionale nella valorizzazione del volontariato: per questo le disposizioni introdotte dal Codice del Terzo settore mirano ad accrescere l’accountability degli enti e la trasparenza nei confronti dei sostenitori, dei lavoratori e degli utenti. Un ruolo fondamentale in questo processo è assegnato al Registro unico nazionale del Terzo settore, che verrà istituito nel 2021 e sarà accessibile e consultabile con modalità telematiche da tutti i soggetti interessati».

 

Per la prima volta, una legge organica, come è il Codice del Terzo Settore, prevede la raccolta fondi come attività giuridicamente riconosciuta per le Organizzazioni Non Profit. È un chiaro segnale che il Legislatore vuole sganciare questo mondo dalla dipendenza rispetto alle risorse pubbliche?Restando sempre sul tema, è concreto il rischio di una sovrapposizione normativa fra le attività secondarie e strumentali (art. 6) e le attività di raccolta fondi fatte attraverso la cessione di beni e servizi di modico valore (art. 7)?

«Uno degli obiettivi della riforma è quello di assicurare la solidità del Terzo Settore, sia incentivando il sostegno da parte di soggetti privati sia assegnando agli enti la possibilità di svolgere attività commerciali in chiave di autofinanziamento. Sotto il primo profilo, il Codice del Terzo Settore consente espressamente agli enti di svolgere attività di raccolta fondi, anche in via stabile e continuativa. Le raccolte fondi possono consistere in donazioni pure, ma possono anche prevedere, eventualmente, l’offerta di beni o servizi ai sovventori nell’ambito dell’evento (si pensi, ad esempio, all’organizzazione di una cena o di un concerto di beneficenza). Quello che caratterizza questo tipo di iniziative, però, è la finalità con cui vengono organizzate: raccogliere fondi per il sostegno delle attività istituzionali, o di specifici progetti. Da ben altre premesse muove invece la definizione di attività diverse contenuta all’art. 6 del Codice del Terzo Settore: in questo caso, si tratta di vere e proprie attività commerciali, che l’ente può svolgere in chiave di autofinanziamento, in via secondaria e strumentale, al fine di sovvenzionare lo svolgimento di attività di interesse generale.

 

Con la Riforma del Terzo Settore, è possibile effettuare il cosiddetto Equity Crowdfunding, ovverosia investitori privati interessati alle attività benefiche ed a ricevere una remunerazione sul capitale investito. Come la mettiamo con la non divisione degli utili, tipica delle ONP?

«Nell’ambito della riforma del Terzo Settore, si parla di equity crowdfunding per le imprese sociali: si tratta di una particolare tipologia di ente del Terzo Settore che svolge attività di interesse generale in forma d’impresa e che può essere costituita anche in forma di società di capitali. Anche le imprese sociali sono organizzazioni senza scopo di lucro: il fine è quindi quello di conseguire un profitto da reinvestire in attività di interesse generale, generando ricchezza per la collettività. Le imprese sociali non possono quindi distribuire utili (così come gli altri ETS) anche se per quelle costituite in forma societaria vi è la possibilità di distribuire una piccola quota di dividendi, così come avviene per le cooperative a mutualità prevalente. D’altra parte, per compensare questo divieto di distribuire utili, chi investe nelle imprese sociali avrà la possibilità di fruire di specifiche agevolazioni fiscali (in forma di detrazione o deduzione), in analogia a quanto previsto per le start up innovative».

 

In breve, ci spiega come è cambiata la disciplina del 5xMille?

«Nell’ambito della riforma del Terzo Settore si è provveduto anche a un riordino della disciplina del cinque per mille. La principale novità riguarda la platea dei beneficiari, che è stata modificata in un’ottica di coordinamento con le disposizioni introdotte dal Codice del Terzo Settore. Con l’istituzione del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS) potranno infatti accedere al contributo per la categoria “del volontariato” solo gli ETS iscritti in tale Registro. Sono state poi introdotte alcune significative innovazioni per semplificare le procedure e accelerare il riparto delle risorse: non verranno più considerate per la ripartizione, ad esempio, le scelte effettuate dai contribuenti nelle dichiarazioni integrative, consentendo così all’amministrazione di procedere alla liquidazione in tempi più rapidi.  Sono previsti poi nuovi obblighi in termini di trasparenza, come la pubblicazione sul sito internet dell’ente degli importi ricevuti».

 

Quali sono le principali novità introdotte in materia fiscale e di redazione del bilancio?

«La riforma introduce nuovi criteri per definire la commercialità o la non commercialità degli enti del Terzo Settore e delle attività di questi svolte, al fine di prevedere regimi impositivi effettivamente calibrati sulle concrete modalità di svolgimento delle attività. In quest’ottica, vengono, ad esempio, introdotti specifici regimi agevolati per la tassazione delle attività commerciali degli ETS non commerciali, delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale. Viene prevista anche una disciplina tributaria per le imprese sociali, che consente di detassare gli utili reinvestiti dall’impresa nelle attività istituzionali di interesse generale. Sono previsti specifici adempimenti sotto il profilo contabile, che anche in questo caso tengono conto delle dimensioni dell’ente e delle modalità di svolgimento delle attività. Gli ETS con entrate non superiori a 220 mila euro, ad esempio, potranno redigere il bilancio annuale nella forma del semplice rendiconto per cassa. Al di sopra di questa soglia di entrate, invece, occorrerà redigere un bilancio d’esercizio per competenza, formato da stato patrimoniale, rendiconto gestionale e relazione di missione. Gli ETS che svolgono l’attività in forma d’impresa, infine, dovranno tenere le scritture contabili e redigere il bilancio secondo le disposizioni del codice civile».

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