Febbraio 20 2024 0Comment

Daniela Fiori. Quando è solo di facciata, non è “comunicazione”

VISTI DA VICINO
Due chiacchiere con i professionisti del Terzo Settore

rubrica a cura di Giulia Pigliucci.

Content manager, copywriter, giornalista pubblicista e consulente di comunicazione per il non profit e la raccolta fondi, con una passione per la rendicontazione sociale.

Laureata in Scienze della Comunicazione con l’indirizzo Giornalismo e Comunicazione di Massa, per poi proseguire con un Master universitario in Peacekeeping Management. Dai primi anni 2000 si è impegnata nella comunicazione delle associazioni e degli enti non profit. Nel 2020 decide di lasciare il posto da dipendente per intraprendere il lavoro da libera professionista.

Oggi come consulente esterna si occupa di progetti di comunicazione integrata, donor care e rendicontazione sociale. Tra le collaborazioni attuali: Fondazione Alberto Castelli, ResQ People Saving People, ECCO Think Tank. È nel board di EUconsult Italia, della quale è socia dal 2019 e di cui coordina le attività di comunicazione e di segreteria.

C’è stato qualcosa che ha fatto sì che decidesse di scegliere il Terzo settore come ambito della propria professione? E quale?

Sì, credo ci sia stato e che sia qualcosa di molto radicato nel mio modo di essere: la spinta verso il mondo del Terzo Settore, prima che iniziassimo a chiamarlo così, è stata sicuramente una spinta ideale. La stessa che fin da ragazzina mi ha portata ad impegnarmi non solo per me, ma anche per gli altri. Come nel caso di voler essere la rappresentante di classe, del mio corso di laurea o della residenza universitaria in cui vivevo.

Sono sempre stata interessata alla dimensione del bene comune e, per storia familiare e formazione personale, convinta che con lo studio, l’impegno, e la capacità di dialogo le persone possano conseguire risultati importanti, ribaltare le situazioni, cambiare il mondo persino. Sono tutti elementi che, finito il mio percorso di studi, ho cercato e trovato quasi subito nel mondo non profit, dell’associazionismo e del volontariato, di tutte quelle realtà, insomma, che non si accontentano delle cose così come sono, ma osano immaginarle diverse. E in quella direzione si mettono al lavoro.

Se dovesse lasciare nella scatola del tempo il suo migliore progetto quale potrebbe essere e perché?

Il migliore è quello che è arrivato dopo un percorso complesso, condiviso e consapevole, che ha coinvolto colleghi e Consiglio direttivo all’interno dell’associazione della quale sono stata dipendente più a lungo. Un bilancio sociale di cui avevo coordinato per diversi anni la realizzazione arrivò finalista e vinse l’Oscar di Bilancio di FERPI nella categoria delle associazioni non profit. È trascorso molto tempo da allora, ma ancora oggi lo cito poiché a mio avviso rappresenta l’esatto esempio di come un professionista e lorganizzazione per cui lavora possano arrivare ad un risultato importante.

Ci si arrivò valorizzando e coinvolgendo le risorse umane interne; costruendo e mantenendo una coerenza tra i valori, la mission, la strategia, i processi di governance e le attività sul campo; riconoscendo nella rendicontazione sociale un momento non solo di comunicazione verso l’esterno, ma, prima ancora, di consapevolezza interna della propria identità e del proprio lavoro.

Congiunture di questo tipo si verificano raramente, anche in quel caso l’equilibrio non durò a lungo. L’importante è essere consapevoli che si può fare, che può accadere e saper riconoscere gli “ingredienti” del successo.

In generale, trovo che nel nostro lavoro di comunicatori, per il Terzo Settore e non, sia fondamentale che vi sia qualcosa da dire, da raccontare e che quel qualcosa sia chiaro ben prima di iniziare a comunicare. Quando la comunicazione si riduce ad un’operazione di maquillage e di facciata non è comunicazione. Il destinatario lo comprende e il progetto facilmente fallisce.

Quale è il sogno del cassetto ancora da realizzare?

Un sogno vero e proprio, inteso come progetto specifico da realizzare o traguardo da raggiungere, non c’è. Senz’altro sogno di poter continuare a studiare e ad apprendere, mettendo a disposizione delle organizzazioni che affianco l’esperienza di questi primi vent’anni di lavoro… e anche dei prossimi. E poi sogno cose che in parte vanno al di là della dimensione lavorativa. Ad esempio raccontare in un libro le storie dei miei nonni. E certamente viaggiare molto più di quanto fatto fino ad oggi. Sicuramente avere più tempo per fare ciò che amo di più: scrivere.

Un consiglio, che scaturisca dalla sua esperienza, per chi si affaccia nel mondo del lavoro in questo settore.

Questo lavoro consente di conoscere spaccati di umanità altrimenti impensabili. Ti mette in contatto con chi, fondando o gestendo un’organizzazione, o semplicemente sostenendola come donatore, desidera impegnarsi per rendere il mondo migliore di quanto lo sia. So che suona banale, ma è effettivamente così, e questa immersione nelle energie buone della nostra società la trovo particolarmente preziosa per i tempi nei quali viviamo.

Allo stesso tempo lavorare nel Terzo Settore, in Italia in particolare, comporta ancora una certa dose di frustrazione per chi crede nel valore delle competenze, della professionalità e nella necessità della giusta retribuzione.

Stiamo facendo passi avanti, ma in questo senso resta parecchia strada da percorrere, anche dal punto di vista della considerazione del nostro lavoro, soprattutto da parte di chi non è un addetto ai lavori. Il consiglio, quindi, è non solo di affacciarsi a questo mondo, ma è anche di entrarvi e restare, purché muniti di grande motivazione!

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